Trama:
Paul si sveglia in una cassa, interrata nel deserto iraqueno. L'ultimo suo ricordo risale a poco
tempo prima in cui il suo convoglio era stato assaltato e alcuni suoi compagni avevano trovato la
morte. Presto scopre di avere con sé un telefonino e un'accendino e cerca di venire a capo della sua
situazione.
Recensione:
Seppellito in una cassa di legno, in terra straniera Paul le prova davvero tutte per salvarsi. Non si
risparmia nulla neanche in tema di video e autolesionismo, pur di uscire dalla cassa. Ma quello
che lo spettatore sa per certo è che la situazione richiede un qualcosa di più del solito buonismo
americano.
Paul è un autotrasportatore. E' in Iraq solo per fare un po' di soldi. Della situazione politica gli
importa poco. Ancora meno delle decisioni dei suoi governanti. Lui semplicemente sta lavorando,
quando il suo convoglio viene assaltato e molti suoi amici vengono uccisi. Lui si risveglia in una
cassa e da quel momento è un continuo affidarsi alle autorità. Dapprima la sua azienda e poi su a
scalare fino all'FBI. Paul semplicemente si rifiuta di credere che al suo paese e alla sua azienda non
importi nulla di lui. In effetti il dubbio gli comincia a venire quando scopre che esiste addirittura
un ramo dell'FBI che si occupa di trattare per gli ostaggi civili in Iraq. Poi scopre anche che la sua
azienda lo ha licenziato a decorrere da quella mattina, per esser al riparo dalle spese che la sua
morte gli costerebbe in fatto di assicurazioni. Ma quello che Paul e lo spettatore scopriranno alla
fine è molto più di qualunque cosa si possa immaginare, sia pure in zona di guerra.
Rodrigo Cortez configura un thriller decisamente a basso costo, col solo ausilio di uno Zippo,
un telefonino e la buona volontà di un attore disposto a tutto. Il suo film punterebbe a scatenare
l'empatia dello spettatore, usando un civile disarmato come protagonista in una zona di guerra, dove
le autorità hanno dichiarato la fine delle ostilità in maniera unilaterale da molto tempo. Ma la reale
complicità dello spettatore giunge molto più tardi rispetto al previsto, in realtà soltanto alla fine,
quando Paul mostrerà una blanda umanità, dopo essersi spogliato della sua facciata di americano
disarmato, e aver finalmente compreso che al suo paese non importa nulla di nessuno. Nemmeno
dei suoi cittadini, mandati a morire in nome di una nazione che esporta la democrazia uccidendo
e imponendo la propria visione del mondo. Paul chiama la sua mamma che sembra afflitta dalla
stessa patologia dei suoi governanti, un degenerare delle cellule cerebrali che induce a dimenticare
i suoi stessi figli. Paul parla con lei e aspetta la morte. E a questo punto lo spettatore, in verità poco
coinvolto fino a quel momento, capisce immediatamente che persino Paul, un cittadino americano
che crede sinceramente nelle buone intenzioni del suo paese, ha realizzato che la guerra è un affare
sporco. E che chi semina vento raccoglie tempesta. I cittadini americani, finora al sicuro nella loro
identità di salvatori dell'Europa, devono fare i conti con la loro nuova identità di invasori. E se è
pur vero che se c'è un terrorizzato ci deve per forza essere anche un terrorista, in questo caso chi
terrorizza è stato già a sua volta abbondantemente terrorizzato dai suoi aggressori. Al punto tale
da sequestrarne un certo quantitativo sperando di ottenere un parziale risarcimento per le proprie
perdite personali.
Tralasciando per un attimo il pesante sottotesto di condanna politica il film di Cortez regala, oltre le
buone riflessioni sulla situazione attuale in zone calde, la considerazione del tutto poco americana
che ormai nulla conta più dell'interesse delle multinazionali. L'azienda di Paul, che lo ha messo in
una situazione da cui non intende preoccuparsi di tirarlo fuori, è solo una metafora di una nazione
che dimentica i suoi stessi figli un minuto dopo averli mandati a morire in suo nome. Paul, come lo
spettatore, sente la coscienza della propria mortalità, e della sua stessa scarsa significatività, farsi
strada ogni minuto che passa. E a nulla valgono le chiacchiere rassicuranti del capo dipartimento
dell'FBI. L'unica cosa che conta sarà riuscire a dire quel che c'è da dire, prima della fine e solo a
chi importa davvero. E infatti il finale di un'opera decisamente poco convenzionale sarà l'unico
significante possibile in una situazione attuale assai poco rassicurante. Sarà l'unica possibile e nello
stesso tempo il riscatto di un'intera sequenza di menzogne. La dura verità è che a nessuno importa
nulla. E le chiacchiere delle autorità farebbero meglio a lasciare il tempo che trovano. La morte
è l'unico solo livellante. E gli americani non sono in questo diversi da chiunque altro. Muoiono
eattamente come quelli che mandano a morte, solo con qualche telecamera in più puntata addosso.